(Articolo tratto dal Libro “Il metodo Sindona – Splendore e crollo di un banchiere che si fa assassino”).
«Il mercato finanziario è già stato colpito nel cuore e nel portafoglio; […] ma com’è nata la paura dei risparmiatori? Si è dimenticato che il capitale ha orecchie da coniglio, le gambe della lepre e la memoria dell’elefante; quando lo si minaccia con una sventagliata di prospettive pericolose, cerca istintivamente riparo nascondendosi nel materasso e, […] infine, fuggendo». A dirlo è Cesare Merzagora sul Corriere della Sera del 25 febbraio 1964. Merzagora, senatore e manager pubblico e privato, presidente di Generali tra le altre cose, lamentava la nazionalizzazione dell’energia elettrica, provvedimento del governo di centrosinistra, avversato dagli ambienti conservatori, anche se all’epoca allineato alla maggioranza degli altri paesi europei.
Da allora sono tante le occasioni in cui i governi dei più svariati colori soccombono alle pressioni dei mercati. Più di recente, la prima ministra del partito conservatore britannico Liz Truss è stata costretta alle dimissioni dalla reazione dei mercati obbligazionari di fronte al massiccio taglio di tasse senza copertura (a favore dei ricchi), che prospettava un insostenibile allargamento del disavanzo dello Stato.
Il suo governo è durato meno di un mazzo di lattuga in frigorifero, è il commento dell’autorevole Economist. In generale, sarebbe preferibile che a imporre un controllo sui governi sia il processo democratico piuttosto che il disordinato crollo dei mercati finanziari. La sanzione dei mercati tra l‘altro colpisce anche azioni ben più condivisibili (come gli aumenti della spesa per il rilancio dell’economia e il finanziamento di servizi di welfare). Ma si prende quello che si può: e se i mercati bloccano l’arruffata e vendicativa sventagliata di dazi – con i conseguenti aumenti dei prezzi per i consumatori e il tracollo delle prospettive di crescita di tutto il mondo – è pur sempre meglio che niente.
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