Con l’apertura di un grosso impianto chimico a Scarlino, all’inizio degli anni settanta, la Montedison ha la necessità di disporre di grosse quantità di scorie, di un materiale fangoso.

Il piano della Montedison, avallato dalle istituzioni pubbliche, per lo smaltimento dei fanghi – che sono di colore distintamente rosso – prevede che questi vengano imbarcati su navi e scaricati nel mare antistante. Per l’epoca, scaricare in mare era ritenuto un passo avanti, almeno rispetto a insediamenti similari che avevano contribuito a rendere fiumi morti la Bovisa a Milano e la Bormida a Spinetta Marengo.

Si riteneva che si sarebbe giunti ad un sistema di trattamento dei reflui quando le tecnologie lo avessero permesso: ma senza né una data né un piano operativo in proposito. Appena lo scarico a mare delle scorie diviene di pubblico dominio, nella zona si attiva un’ampia mobilitazione. In risposta, come uso all’epoca (ma non solo), allo scopo di mandare un segnale alle istituzioni, la società annunzia che 400 operai saranno posti in cassa integrazione.

Un rappresentante del management della Montedison ammette la velenosità della sostanza, affermando: «Se ne bevessi un bicchiere morirei subito ed il liquido mi zampillerebbe fuori attraverso lo stomaco in pochi secondi», ma, afferma, mescolato all’acqua di mare diventa innocuo «e il colore rosso […] è la comune ruggine».

E ora che avete letto, potete tranquillamente tuffarvi per una nuotata rinfrescante. (segue)

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