Quando nasce la Comunità europea, il continente è ancora scosso dai massacri e dalla distruzione della guerra, ma si percepisce anche il nascente ottimismo legato al consolidamento delle democrazie ed ai tangibili benefici dell’integrazione economica.
 
La ricostruzione post-bellica è più rapida del previsto, milioni di cittadini sono sollevati dalla povertà e si affacciano ad una certa agiatezza, che supera già le condizioni medie del periodo di prima della guerra. È in questo clima che – dopo lunghe discussioni e grazie ad autorevoli contributi, e con una visione largamente condivisa da diversi lati dello spettro politico – si genera il consenso per la creazione delle istituzioni politiche europee.
 
È una conquista civile di enorme significato, che si concilia con l’interesse economico e il sostegno dello sviluppo. Con questa doppia formula – visione politica e interesse economico – si superano le resistenze dei nazionalismi alla cessione di una parte della sovranità nazionale. Il Trattato di Roma («Trattato che istituisce la Comunità economica europea») è approvato il 25 marzo 1957 ed entra in vigore il 1° gennaio 1958: si superano gli accordi settoriali su acciaio e carbone firmati nel 1951. All’art. 1, il trattato prevede: «c) l’eliminazione tra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali; […] f) la creazione di un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune; g) l’applicazione di procedure che permettano di coordinare le politiche economiche degli Stati membri; h) il ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune; i) la creazione di un Fondo sociale europeo allo scopo di migliorare la possibilità di occupazione dei lavoratori e di contribuire al miglioramento del loro tenore di vita». Con queste misure, l’Europa unita ha lasciato gli ormeggi.

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