L’Europa non è solo una zona di libero commercio. I passi avanti negli altri campi sono stati a volte faticosi, seppure non privi di importanti successi: fanno parte di una visione condivisa di un’”economia sociale”, dove si introducono regole comuni per correggere gli squilibri, redistribuire il reddito, garantire a tutti i cittadini sanità, istruzione, tutela della sicurezza sul lavoro e dell’ambiente.

Con la Carta comunitaria dei diritti fondamentali sociali dei lavoratori si compiono i primi passi per politiche di coesione sociale ed economica e per l’inserimento di prerogative europee in materie nuove quali il welfare, la sicurezza dei luoghi di lavoro, la tutela dell’ambiente. Pochi anni dopo, nel 1992, si incrementano le competenze comunitarie in tema di politiche sociali, inserendo un riferimento esplicito alla tematica nel Preambolo del Trattato dell’Unione europea.

La Cooperazione politica europea (Cpe) – informalmente attiva dagli anni settanta e introdotta con l’Atto unico nel 1987 – viene rafforzata e formalizzata, divenendo la Politica estera e di sicurezza comune (Pesc), il secondo dei tre pilastri del Trattato di Maastricht del 1992 (il primo riguarda il mercato comune e l’unione monetaria, il terzo giustizia e affari interni). I due nuovi pilastri restano in realtà più vaghi e generici rispetto ai notevoli progressi del primo, ma non vanno sottovalutati. E sono forse quelli dove si pongono le maggiori speranze per progressi futuri.

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